mercoledì 18 aprile 2007

Feri de maia

Graziella, da Trieste, ci ha inviato uno splendido articolo che ha scritto per Vita Nuova, settimanale della curia di Trieste. Ve ne proponiamo la prima parte, che è assolutamente stupenda. Grazie, Graziella.
L’ottobre del 1946 era particolarmente freddo. La casa, lesionata da una bomba caduta nel cortile nel settembre 1944 aspettava di essere rimessa a nuovo ma i tempi non sembravano ancora maturi; di conseguenza ogni tentativo di riscaldare le stanze era impresa vana. Papà, tornato a Trieste da appena due mesi dopo sei anni di prigionia in India, soffriva più di tutti noi per la mancanza di calore che la neve caduta abbondante e fuori stagione sottolineava.crudelmente. Nell’attesa di essere reintegrato nel suo posto di lavoro trascorreva la maggior parte del giorno tentando di rabberciare qualche crepa dei muri e di far funzionare la grande malconcia stufa di maiolica blu del soggiorno. La sua buona volontà, comunque, non bastava a compensare il faticoso e lento ritorno alla normalità.
Tornavamo da scuola, mia sorella ed io, accaldate per il lungo percorso quasi tutto in salita, felici – come ricordo bene quella sensazione – perché la famiglia era finalmente riunita. E quel frizzante freddo, così anticipato, non ci disturbava, anzi accresceva l’ allegria dei nostri pochi, spensierati anni che tentavano di rimuovere i ricordi bui della guerra.
La faccia della nonna non prometteva nulla di buono: aperto l’uscio ci aveva dato subito le spalle dirigendosi verso il soggiorno, brontolando a mezza voce: «Che disgrazia, che disgrazia… Un omo cussì bravo e bon… No’l xe più quel de prima…». Spaventate facemmo il corridoio di corsa, precedendola. Forse papà…? Papà, seduto accanto alla stufa, uno scialle sulle spalle, stava sferruzzando una calza. A quello spettacolo i nostri timori si trasformarono in una scrosciante risata. Nonna continuava a scuotere la testa con aria di compatimento, papà continuava tranquillamente a lavorare: nel campo di prigionia aveva imparato, anche perché non c’erano molte altre cose da fare, "l’arte della maglia" da un soldato inglese della sorveglianza (si sa che in GranBretagna questo genere di lavoro è tenuto in grande considerazione). E, visto che i nostri calzettoni erano piuttosto consunti, aveva pensato – tempo non gli mancava! – di prepararcene di nuovi. Con filato ricavato da vecchie maglie inutilizzabili. Per la nonna quello era un comportamento disdicevole per un uomo, anzi, estremamente preoccupante. «Queste xe robe de done» mugugnava, apparecchiando la tavola. Non si dava pace, sentendosi esautorata da quella che, per convinzione atavica, considerava espressione totalizzante dei compiti di una donna di casa.
Soldiers knitting
La mamma arrivò con la zuppiera fumante, tentando di rabbonire sua madre con la dolcezza che le era propria. Com’ era buona quella minestra condita dagli affetti famigliari.
Quell’inverno imparai anch’io a lavorare a maglia e fu mio padre il mio maestro I miei primi dritti e rovesci divennero una sciarpa - che usai a lungo - emblema dei tanti “lavori donneschi” appresi man mano che mi addentravo nella vita adulta. Lavorare con gli aghi da lana e con l’uncinetto mi rilassava e mi ci dedicavo alla sera o nei momenti vuoti della giornata. Poi ci sono stati lunghi anni impegnati ed i ferri e gli uncinetti di tutte le misure, adatti ai diversi filati, sono stati dimenticati, assieme a rimasugli di gomitoli mescolati a palline di naftalina,nel cesto da lavoro sistemato sul più alto scaffale dello sgabuzzino. Un trasloco li ha riportati alla luce, assieme alla voglia di tornare ad usarli, richiamo nostalgico ad anni ormai passati.E, tra vecchi giornali con le spiegazioni dei lavori e schemi di modelli ho ritrovato un ritaglio raffigurante un gruppo di taquilenos, indigeni peruviani della regione del lago Titicaca, impegnati a lavorare ai ferri. Con quello, scovato in un’enciclopedia consultata a scuola per altri motivi, ero riuscita a rappacificare l’animo della nonna nei confronti della tendenza, secondo lei, troppo "femminile" del genero.
[...]
Graziella Semacchi Gliubich

2 commenti:

Anonimo ha detto...

un tenerissimo ricordo!
grazie per averlo condiviso con noi :)

Petula ha detto...

bellissimo...grazie!